RISCATTI – Romanzo a puntate

RISCATTI 

by A.J.reed

L’Inizio

Un’altra serata di lavoro stava per terminare.

Non vedevo l’ora di rientrare a casa, per rilassarmi davanti alla televi-sione e bermi un bicchiere di birra gelata. Mia moglie si trovava in visita dai suoi genitori e non sarebbe rientrata prima di una decina di giorni.

A quel punto mi balenò l’idea di organizzare una gita fuori porta in compagnia di qualche amico. Non era per niente una cattiva pensata. Di sicuro non mi sarebbero stati negati alcuni giorni di ferie, visto tutto lo straordinario che avevo fatto. Tante ore di straordinario che, con il nuovo corso di tagli, dovuto a un forte calo delle entrate, mi sarebbero state pagate la metà. Quindi avevo tutto il diritto di chiedere qualche giorno di riposo.

Quel bastardo del mio superiore mi aveva tartassato come un negriero. Non gli andava bene nulla di quello che facevo, aveva sempre da ridire. Coglione sin dalla nascita! Se ripenso a tutti gli anni buttati dietro ai libri, per preparare gli esami all’Università… e per cosa? Stare sotto il classico figlio di papà. Mi ribolliva il sangue! Senza contare che era molto più giovane di me. Infatti, quando mi stavo per laureare, il moccioso già sedeva accanto al padre nella stanza dei bottoni. Il genitore premuroso gli aveva spianato la strada sin dai primi anni di studio, giungendo a comprargli il voto della laurea, pur di non farlo sfigurare. Il buon nome della famiglia era stato salvato anche in quell’occasione.

Dopo due anni che lavoravo lì dentro, sotto le direttive del bamboccio, mi si presentò l’opportunità di scappare e prendere il largo per il nuovo mondo. La compagnia si stava espandendo anche negli Stati Uniti. Così chiesi immediatamente il trasferimento, che fu accettato dai dirigenti. Mia moglie era nata lì, quindi non ci sarebbero stati litigi o discussioni per il cambiamento, anzi era anche contenta di ritornare nel suo paese d’origine. La Germania le piaceva molto, si trovava molto bene, ma al cuor non si comanda. Dentro di lei aveva sempre serbato il desiderio di rientrare dall’altra parte dell’oceano. Dal canto mio lasciavo la mia famiglia, ma gli aerei erano stati inventati per lunghe e veloci traversate, quindi nessun problema.

La sede fu aperta a New York, città caotica ma piena di vita.

I primi anni furono alquanto traumatici, in particolare per me. Berlino era una metropoli di carattere internazionale, ma in confronto a New York era alquanto provinciale. Il primo appartamento in cui ci trasferimmo era piccolo ma confortevole. Non avevamo bisogno di grandi spazi, anche perché le nostre tasche, a quel tempo, non avrebbero potuto sopportare un salasso. Lavoravo solo io, mia moglie stava ancora cercando un posto di lavoro all’Università o come interprete inglese-tedesco e riuscì a trovarlo dopo quasi cinque mesi che ci eravamo trasferiti. Quel giorno la portai fuori a cena, nel più costoso ristorante della città.

Dopo un po’ di tempo e qualche altro sacrificio acquistammo infine la nostra attuale residenza, un bell’appartamento di tre stanze da letto, due bagni, verande panoramiche, cucina, sala da pranzo e un salone per il mio maxi schermo ultrapiatto a visione tridimensionale. Un piccolo gioiellino dell’elettronica, costato ben 4.500 verdoni! Qualche pazzia ci può stare, ogni tanto. Non avendo figli a carico potevamo permetterci qualche lusso, il televisore come qualche vacanza esotica. L’ultima volta eravamo stati in Messico, per circa due settimane. Una vacanza da sogno che avremmo ripetuto sicuramente. (…)

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Alla prossima settimana con il primo capitolo di Riscatti! 

 

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